Gay & Bisex
IMMIGRATO IN ASTINENZA
di Foro_Romano
21.01.2020 |
44.197 |
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"Lei, naturista, non amava i surgelati ed in casa non avevano il surgelatore, sicché quasi tutti i giorni, nel pomeriggio, quando usciva dall’ufficio, ..."
Gregorio è un uomo comune. Ha 32 anni, laureato in filosofia, è impiegato amministrativo in un’azienda pubblica e si è sposato da tre anni con una bella mogliettina che ancora non gli ha dato figli perché, dice, vorrebbe aspettare ancora un po’. Erano ancora bambini quando si erano conosciuti e non si erano mai lasciati. L’unica donna della sua vita. E’ ben fatto ma bassino e con un viso delicato da bravo ragazzo di buona famiglia. Biondino ma non troppo, pelosetto un po’ dappertutto ma non troppo. Impiegato senza grandi possibilità di carriera ma almeno con uno stipendio accettabile. Insomma, sembra essere il classico tipo tranquillo e senza grilli per la testa.
Dico “sembra” perché un tarlo lo rode praticamente da sempre. Si domanda spesso se ha fatto bene a vivere una vita così omogenea, senza una qualche stravaganza di tanto in tanto. Dentro di sé sente che avrebbe potuto fare qualcosa di diverso, specie quando era più giovane, e che vorrebbe ancora fare, ma col lavoro e la famigliola che si è creato sembra sempre più impossibile da realizzare.
In particolare, gli è capitato di pensare di avere esperienze sessuali diverse e, a volte, gli è successo anche, mentre scopava con la moglie, di pensare di avere a che fare con un uomo e di eccitarsi ancora di più. Lei, ovviamente, non sapeva niente e niente avrebbe dovuto sapere. La sua mentalità bigotta non gli avrebbe permesso di capire. Gregorio così si andava sempre più convincendo che la sua vita sarebbe proseguita così monotona per sempre.
Lei, naturista, non amava i surgelati ed in casa non avevano il surgelatore, sicché quasi tutti i giorni, nel pomeriggio, quando usciva dall’ufficio, doveva passare al supermercato per acquistare prodotti freschi.
Fuori del negozio c’era sempre un immigrato africano che si offriva di aiutare a portare i carrelli fino al parcheggio delle auto e riportarli indietro per ricevere un euro di mancia. Basilio si faceva chiamare, ma nessuno sapeva quale fosse il suo vero nome e né da quale paese africano provenisse. Perché avesse scelto quel nome abbastanza stravagante, poi, era un altro mistero.
Non era giovanissimo, aveva sui quaranta anni ed era molto alto, sul metro e novanta. Massiccio e misterioso. Certo era che la sua pelle era nera come la pece che quasi non riuscivi a distinguere le fattezze della sua faccia. Spiccavano solo il bianco degli occhi, profondi e neri anch’essi, e la fila di denti bianchissimi e perfetti quando sorrideva per aver gradito l’obolo che gli veniva dato. Era da molto che si era trovato quel “lavoro” e ne era soddisfatto perché ne ricavava di che vivere, anche perché gli addetti del supermercato, alla chiusura, gli regalavano sempre qualche prodotto vicino alla scadenza con cui poteva cenare. Ormai parlava anche abbastanza bene l’italiano.
Così, quasi ogni giorno, Gregorio lo incontrava lì e si faceva aiutare volentieri per potergli dare l’euro del carrello e fare un’opera buona. Ma forse c’era qualche altro motivo. Quel nero era così alto e così prestante e muscoloso che gli muoveva qualcosa dentro. O forse era quella sua aria strana, specialmente nei suoi confronti – come aveva notato – a renderlo particolarmente intrigante. Ultimamente, mentre faceva sesso con la moglie, la solita figura generica di uomo che gli veniva in mente aveva sempre più spesso le fattezze di Basilio.
Sarà stato per questo che ormai aveva preso confidenza con quello straniero ed i loro incontri erano sempre meno fugaci. Non si limitavano più al solo servizio del carrello ma si scambiavano anche qualche chiacchiera sulla società, sulla vita, su loro stessi. Erano arrivati anche alle confidenze. Una volta Gregorio, che comprendeva che le esigenze di quell’uomo non si limitavano all’alimentazione ed alla sopravvivenza, si spinse a chiedergli come facesse col sesso.
Nel momento stesso che gli porgeva la domanda si rese conto di essere andato troppo in là. Si aspettava che quello gli tirasse un pugno che lo avrebbe meritatamente atterrato. Invece no. Inaspettatamente, Basilio sfoderò un grande sorriso e gli disse:
“Beh, per quello mi arrangio da solo, pensando a chi mi piacerebbe scopare”.
Gregorio cercò di uscire fuori da quel discorso che egli stesso aveva innescato.
“Certo, capisco, qui vedi tanta gente ogni giorno…”.
“Uno come te, per esempio”.
“Come me? Che vuoi dire?”.
“Dico che spesso mi vieni in mente tu mentre mi sego e godo che è una meraviglia”.
“Io?! Che dici?”.
“Scusami signore ma è così. Si, tu mi piaci molto e vorrei scoparti. Sono anni che non scopo con qualcuno e ti sarei molto grato se volessi darmi il tuo culo”.
Lo diceva seriamente e rimasero a guardarsi in silenzio per qualche secondo. In un attimo a Gregorio crollarono tutte le difese. Balbettò qualcosa di incomprensibile anche a sé stesso e quello incalzò.
“Ti ho capito e sono sicuro che a te piacerà. Ti dimostrerò che la storia su quanto sono grossi i cazzi africani è vera”.
“Ma, io… Io, non ho mai…”.
“Mai? Mai mai? Oh, ma allora ti assicuro che farò molto piano e ti aprirò il culo senza che te ne accorgi. Godrai come non hai mai fatto in tua vita. Per me sarebbe un sogno sverginarti. Ti prego, signore, fallo per me”.
“Io… io… non so… ma dove… quando?”.
“Io abito proprio in questo palazzo incontro. Vieni da me adesso. Ti prego”.
Forse fu per pietà di quel povero indigente (almeno così gli disse la coscienza) ma lo seguì senza difficoltà in quel tugurio di casa occupata. Chiusa la porta, il nero si abbassò e, tenendogli la testa, gli ficcò in bocca la sua polposa lingua umida che prese a spadroneggiargli dentro, tanto per sottolineare subito chi era il maschio dei due. Le grandi mani lo tastavano dappertutto fino ad afferrare con forza i suoi glutei e strapazzarli.
Poi cominciò a spogliarlo. Via la giacca, via la cravatta, la camicia, la maglia. All’apertura dei pantaloni cercò di resistere non riuscendoci affatto. Via quelli, via le mutande, le scarpe, i calzini. Nudo. Infine era completamente nudo davanti a quel mandingo affamato.
“No… io non…”. Gli mise un dito sulla bocca.
“Shhh, non dire niente. Voglio solo sentirti godere”.
In un attimo fu nudo anche lui. Era un capolavoro della natura. Possente, coperto di muscoli e di tanto pelo riccio ancora più nero. Dal ciuffo del pube fuoriusciva una proboscide che gli arrivava a metà coscia, con la punta rosea e circoncisa, che andava ad ingrossarsi da far paura a vista d’occhio.
“Lo sai quello che devi fare” e una grossa mano sulla testa lo spinse in ginocchio davanti a quel totem.
Non riesce ancora a capire come sia successo, ma, in quell’attimo, Gregorio si trasformò istantaneamente in un campione di bocchini. Se lo mise in bocca più che poteva e cominciò a leccarlo e succhiarlo come un matto, mentre pompava con le mani tutto il resto del palo. Era chiaro che non sarebbe mai riuscito ad inserirlo tutto. Riusciva a malapena ad imboccare la grossa cappella e qualche centimetro in più. Per compensare, ci roteava attorno la lingua velocemente.
Il negro soffiava e gemeva. “Ahhh, siiii, bravo signore bianco. Così, siii… Ahhh… Ahhhgrrr…”. Non resistette molto e, tenendogli ferma la testa, rantolò e gli sparò in bocca una quantità enorme di densa crema bianca che Gregorio, per istinto, ingoiò più che poté, ma molta gliene colò fuori dalle labbra lordandogli il mento e gocciando a terra.
Il bravo maritino era in estasi nel gustarsi quel sapore e nell’inspirare quell’odore nuovi e fantastici goduti così da vicino. Pian piano riprese coscienza. Si rese conto di quello che aveva fatto, quello che sua moglie non aveva mai voluto fargli ma, anziché esserne disgustato, ne era entusiasta. Si sentiva come rinato ad una nuova vita. Si sentiva usato come una puttana e, quel che era più strano, ne era felice.
E la felicità la leggeva anche sulla faccia di Basilio. “Grazie, signore. Erano anni che non godevo così tanto. Ha fatto un bellissimo… pompino. E’ così che si chiama, vero?”. Poi aggiunse: “E mi sembra che è piaciuto anche a lei, vero signore? Ho visto che ha mandato giù tutto”.
Gregorio annuì, sorridendo. Si sentiva come uscito dal bozzolo in cui era rinchiuso, pronto a spiegare le ali e spiccare il volo.
“Però adesso voglio scopare. Voglio entrarti dentro il culo”.
Fu allora che Gregorio si rese conto che quella nerchia massiccia non aveva perso niente del suo turgore, mentre una goccia scivolava densa e lenta lungo l’asta. Tirò fuori la lingua e la lappò via lentamente, dal basso verso la punta, in segno di risposta affermativa. La voleva, la voleva tutta dentro di sé. Voleva farsi sfasciare il buco, farsi sfondare fino all’inverosimile, farsi squarciare da quel mostruoso nerbo nero. Capiva che avrebbe dovuto sopportare un enorme dolore ma l’idea di essere sottomesso alle voglie di quello stallone africano aveva il sopravvento su tutto. Sentiva di essere finalmente la troia affamata che, fino ad allora, aveva soffocato.
“Si, ma fai piano. E’ la prima volta…” riuscì a dire, ma già si immaginava montato come una furia da quel toro infoiato.
“Si, signore. Capisco. Farò piano. Lo prometto”.
Gregorio si mise a pecora sul lurido tappeto etnico e accolse con un mugolio la faccia dell’uomo che si inserì tra le sue chiappe opportunamente allargate dalle sue stesse mani. La corposa lingua dapprima gli leccò la rosellina ancora vergine e poi si inserì dentro quel pertugio che già boccheggiava ansioso.
“Ahhh, si, che bello, ohhh”.
Il negro sputò e gli infilò lentamente un grosso dito. Lui ebbe un sussulto ma non disse niente per paura che si fermasse. Quello sputava e infilava il dito sempre più a fondo. Poi le dita divennero due e le girava e rigirava per allentare il muscolo anale. Lo fece con calma e metodo per lungo tempo. Troppo tempo.
“Scopami, fottimi, non ce la faccio più. Mettimelo dentro e scopami. Lo voglio. Dammelo, dammelo”.
L’uomo lo girò come un fuscello ponendolo di schiena e gli alzò le gambe.
“Bello, voglio vederti in faccia mentre ti rompo il culo”.
Gregorio se le tenne su e aperte da solo, con le braccia sotto le ginocchia, esposto e pronto al sacrificio. Il mandingo lo dominava, nero come la pece, tutto coperto di pelo riccio, col cazzo enorme e terrificante che sbrodolava del precum utile a lubrificare la penetrazione. Puntò la grossa cappella rosea sullo sfintere e spinse leggermente per vedere la prima reazione. Un mugolio di approvazione lo invitò a continuare con più decisione. Lo fece. Il buco si aprì, spinto dalla voglia, e fu inaspettatamente abbastanza facile introdurre il glande e poi tutto il resto, piano piano. Tanta era la voglia di essere sottomesso.
Il bianco strizzava gli occhi e si mordeva le labbra per non gridare. Voleva resistere e ci riuscì molto bene finché sentì gli ispidi e abbondanti peli dell’inguine sfiorargli la leggera peluria delle natiche. Aveva tutto quel cazzo da sogno dentro di sé! Sbarrò gli occhi per l’incredulità e vide la faccia del nero stravolta mentre, non potendo più resistere, con un grugnito, dette una spinta poderosa che gli sventrò le budella.
Naturalmente dovette urlare e continuò ad urlare di piacere mentre lo stallone prendeva a fotterlo senza pietà, anzi proprio con tutta la ferocia repressa negli anni. Lo teneva per le cosce e lo sbatteva senza tregua. Lui si dimenava, guaiva con un tono femmineo a lui stesso sconosciuto. Non era più lui. Ambedue si erano trasformati in un energumeno senza freni e in una cagna scatenata. Anzi era un buco, solo un buco sfasciato da svangare.
Si guardavano senza vedersi, offuscati dalla libidine. Il nero finalmente aveva sotto di sé l’oggetto dei suoi desideri che si scioglieva come il burro lacerato dal suo grosso ferro infuocato. Non era più uno degli ultimi. In quei momenti era il primo, il più potente del mondo.
Il buco si aprì come per incanto e la monta durò a lungo. Le urla furono presto sostituite dai lamenti. Gregorio non capiva più niente. Agitava la testa, sbavava, combattuto tra il dolore ed il piacere. A momenti soffriva, in altri rideva di gioia. Gli diceva di fermarsi perché gli faceva male e subito dopo lo incitava a fotterlo sempre più forte. Le grandi palle pendenti gli sbattevano ritmicamente addosso aggiungendo il loro rumore allo sciacquio dovuto agli umori anali e ad un po’ di sangue.
Il culo gli venne stappato con uno schiocco. Fu girato e messo a pecora e di nuovo impalato. Il negro lo teneva saldamente per i fianchi con le sue grandi mani e fotteva a ritmo sostenuto. Solo qualche brevissima sosta quando gli assestava dei colpi secchi e profondi che lo facevano guaire come una cagna, per poi riprendere la corsa come prima.
In breve si ritrovò con la testa sul pavimento e il sedere in alto, dilaniato da quella bestia vigorosa. Un lampo di coscienza gli fece rendere conto di essere diventato ormai una bagascia sfondata.
“Bello, mio signore bianco. Ti piace? Vuoi che mi fermo?” ma senza rallentare neppure un secondo perché vedeva come godeva e sapeva la risposta.
“No… no… continua… Fottimi forte… si… si… siiii…”. Per la prima volta nella sua vita provò un fantastico orgasmo anale. Poco dopo, però, anche il suo cazzo, semimoscio, eruttò senza essere toccato.
“Ahhh… Ahhhh… Continua… Continua… Sono la tua troiaaaa”.
“La mia troia? Vuoi essere la mia troia?”
“Si, si, sono la tua troia… Voglio esserlo per sempre… Scopami… scopamiiii…”
“Ohhh, signore, non sa quanto sono felice. La mia troia! Sto scopando la mia troia!”.
Il ritmo dell’inculata raggiunse una velocità pazzesca che finì di sbragare irrimediabilmente e definitivamente quel buco fino a poco prima ancora vergine. Lo scopatore si abbassò a stritolarlo tra le sue braccia muscolose, facendogli sentire i peli del torace sulla schiena, e raggiunse il limite di resistenza. Con un grido gutturale prolungato, scaricò a più riprese nel suo intestino altro abbondante succo di coglioni che sugellò definitivamente la sua supremazia.
Da quel giorno Gregorio non vedeva l’ora di fare la spesa e farsi riempire il buco cacasborra. I rapporti con la moglie si raffreddarono completamente e lei, convinta che lui avesse un’altra donna, chiese la separazione. Lui andò ad abitare in un altro appartamento assieme al suo uomo e tutti i giorni, la mattina prima di andare al lavoro e la sera al ritorno, subiva goduriosamente gli assalti del suo uomo nero che, come lui, non ne aveva mai abbastanza.
Nei fine-settimana, poi, lo facevano anche 4-5 volte al giorno. Ormai il suo buco era diventato una caverna e lui era ben felice di poter accogliere facilmente l’enorme fallo dell’immigrato non più in astinenza. La vita, per loro, era diventata finalmente serena e felice.
(Dedicato a Peluriagoduria)
(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha lo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma godetevela il più possibile. Buona sega a tutti).
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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